Osservazioni Consulta A&V su Piano Strategico del Verde

Alla c.a
Assessore all’Ambiente, dott. Alberto Unìa
Presidente VI Commissione Consiliare, dott. Federico Mensio
Dirigente Area Verde, dott.ssa Claudia Bertolotto

PIANO STRATEGICO DELL’INFRASTRUTTURA VERDE

Osservazioni e contributi della Consulta Comunale per l’Ambiente e il Verde

La Giunta Comunale di Torino, su proposta dell’Assessore Unìa, ha approvato in data 29 dicembre 2020 il Piano Strategico dell’Infrastruttura Verde come strumento di analisi e programmazione della gestione e degli investimenti sul sistema del verde pubblico torinese, che avrà valenza per i prossimi decenni e che verrà ad integrarsi col processo di Revisione del vigente Piano Regolatore Generale, del quale è stata approvata la Proposta Tecnica del Progetto Preliminare, di cui dovrà costituire parte essenziale, unitamente al Piano Urbano della Mobilità Sostenibile.
Detto Piano Strategico (che citeremo di qua in avanti come Piano del Verde), prima di arrivare in Consiglio Comunale, è all’esame delle Circoscrizioni e di altri Enti, ed è aperto a contributi e osservazioni di associazioni portatrici di interessi diffusi, ed in particolare della Consulta Ambiente e Verde istituita dal Consiglio Comunale. Con le presenti osservazioni la Consulta intende apportare contributi collaborativi ed anche osservazioni critiche in merito ad alcune parti che costituiscono detto Piano del Verde.

PREMESSA
Un Piano del Verde, come componente strutturale della pianificazione urbanistica, era atteso e sollecitato da molti anni; gli “Studi sul Sistema del Verde” in capo all’Assessorato per l’Ambiente dell’epoca, elaborati da P. G. Lucco Borlera tra il 1980 e il 1983 per il Rapporto Preliminare al Piano Regolatore in fase di predisposizione sotto l’Assessorato di Raffaele Radicioni (poi “affossato”), già delineavano una visione di sistema per un insieme di parchi che si inanellavano lungo il fiume Po ed i suoi affluenti e a cavallo del territorio collinare, oltre ad analizzare il fabbisogno di verde di prossimità nelle aree urbanizzate o da urbanizzare. Questa visione di sistema venne meno nel PRG di Gregotti e Cagnardi, in cui mancava un vero “Piano del Verde”, disegnando un vasto insieme di parchi spesso “virtuali”, anche se, poco dopo l’adozione del vigente P.R.G. nel 1993, si cercò di rimediare con l’approvazione del Progetto Torino Città d’Acque, che individuava nei quattro fiumi cittadini e nel territorio collinare una serie di parchi che dovevano costituire l’ossatura di un “Sistema Verde-Azzurro” di grande importanza ambientale, rivolto in particolare al recupero e alla fruibilità delle sponde fluviali, ovvero dei principali “corridoi ecologici” con la previsione di un vasto sistema di parchi lineari, e ipotizzava l’ampliamento dei parchi collinari già di proprietà pubblica attraverso nuove acquisizioni di aree a parco in vista di un vasto Parco Naturale della Collina. Come è noto si individuò soprattutto nel territorio collinare il modo di soddisfare il fabbisogno di standard a verde attraverso il disegno e l’acquisizione di milioni di mq. di parchi collinari rimasti poi del tutto “virtuali”, con l’ipotetico metodo degli “atterraggi” dei diritti edificatori correlati.
Nel 2006 il Consiglio Comunale approvò il vigente Regolamento del Verde Pubblico e Privato, importante strumento di tutela, con l’impegno di portare successivamente in approvazione un Piano del Verde. Nel 2008 una prima bozza di Piano del Verde era giunta ad un buon livello di elaborazione, ma poi le priorità si indirizzarono altrove. A distanza ormai di 15 anni non possiamo fare a meno di accogliere positivamente il presente Piano Strategico dell’Infrastruttura Verde, che dà attuazione anche alla fondamentale Legge nazionale del 14 gennaio 2013, n. 10, “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani”, a cui hanno fatto seguito altri provvedimenti, fino ad arrivare al Decreto Ministeriale del 10 marzo 2020, che ha stabilito i criteri per la gestione del Verde Urbano ispirati ai principi della sostenibilità ambientale. Tra gli obblighi previsti della citata Legge 10 ricordiamo l’obbligo per i Comuni di garantire le dotazioni territoriali di standard previste dagli strumenti urbanistici, il censimento e la tutela del verde pubblico, l’incremento del patrimonio arboreo e l’obbligo di presentare il bilancio arboreo ad ogni fine mandato, l’impegno a destinare il 50% dei proventi derivati dai permessi di costruire per il recupero e la manutenzione del patrimonio pubblico, e primariamente del verde come bene essenziale.
Per quanto riguarda la Città di Torino, i passaggi intermedi che hanno portato al presente Piano sono esposti e sintetizzati nella Relazione Generale (a cui rimandiamo), che sintetizza un percorso iniziato con le “Linee Guida” del Piano del Verde approvate dalla Giunta Comunale il 26 giugno 2018, precedute dal Protocollo d’Intesa siglato dalla Città con il MATTM, la Regione Piemonte e la Città Metropolitana per lo “sviluppo dell’Infrastruttura Verde attraverso contributi e compensazioni”, e poi seguito da Protocolli d’intesa con vari soggetti ed Enti territoriali per interventi di forestazione urbana, fino al recentissimo protocollo d’intesa con Arbolia s.r.l. del 26 gennaio 2021 per detti interventi di forestazione. Il Piano del Verde era stato già presentato nelle sue linee essenziali agli Stati Generali del Verde Pubblico il 21 novembre 2019, dopo ulteriori approfondimenti è stato ora approvato dalla Giunta Comunale interfacciandosi anche con il Piano di Resilienza Climatica di recente approvato dalla Città, che riconosce il ruolo del verde urbano come fattore essenziale per la prevenzione e la mitigazione degli effetti dei mutamenti climatici in atto a livello globale. Il Piano del Verde oggi presentato ha visto la collaborazione di numerosi uffici, in capo all’Area Verde, con l’apporto di diversi esperti, è certamente di elevato livello, grazie anche alle diverse Tavole di Piano, e ad un censimento sistematico del Verde Urbano in tutte le sue articolazioni, con le sue diverse caratterizzazioni e funzioni. Pertanto la Consulta Ambiente e Verde non può che formulare un giudizio positivo sul lavoro svolto in questi due anni e mezzo, trascorsi dal momento in cui ne furono approvate le Linee Guida. A seguire formuliamo alcune osservazioni, nonché proposte da inserire in un Piano Strategico che avrà una dimensione di medio-lungo periodo, impegnando anche le prossime Amministrazioni .

OSSERVAZIONI SPECIFICHE AL PIANO

“Caratterizzazione del verde urbano di Torino”(cap. 1, pp. 9 e segg.): L’infrastruttura verde di Torino nel 2020.
Il capitolo fornisce una “fotografia” corredata di dettagliati dati analitici delle varie tipologie di verde in città, ulteriormente rappresentati nelle Tavole di Piano, relativamente soprattutto alle aree pubbliche. In merito ai dati quantitativi ivi riportati, prendendo atto nella Relazione che il censimento del Verde Pubblico di Torino conduce ad una quantificazione di oltre 18 milioni di mq., comprensivi di aree verdi, aree coltivate, aree boschive di proprietà comunale, si rileva che sussistono anche 30 milioni di mq. di aree verdi e boschive in capo ad altri soggetti. Sarebbe utile in questo contesto determinare in quale percentuale tali aree fanno capo ad altri soggetti pubblici, come Regione, Città Metropolitana, Aziende Sanitarie Ospedaliere, Demanio statale e ferroviario, al fine di prevedere possibili accorpamenti e sinergie, e in quale percentuale siano invece di soggetti a carattere strettamente privatistico. Nella visione complessiva di un “Sistema del Verde Urbano” e della sua funzione ecosistemica sarebbe utile una cartografia che le identificasse, in vista di auspicabili accorpamenti, proprio in una visione “eco sistemica”.

“Caratterizzazione del verde urbano di Torino” – La collina di Torino: il territorio e i parchi collinari (cap. 1, pp. 19 e segg., e p. 49).
Come già proposto nelle osservazioni della Consulta Ambiente e Verde alla Proposta Tecnica della Variante Generale al PRG, questo è uno dei punti critici all’interno di un Piano del Verde. Inseriti del PRG del 1995 con l’ipotesi di portarli in attuazione con il meccanismo degli atterraggi dei diritti edificatori nella parte piana, in un quadro complessivo che ipotizzava una dotazione di aree a parco di ben 32 milioni di mq., richiedono ora un profondo ripensamento. Nel presente Piano del Verde, e nella citata Proposta Tecnica, è stata individuata una nuova destinazione urbanistica, quella delle Zone Agricole Ecologiche (ZAE), che ha ridisegnato anche la fisionomia dei parchi collinari. Le aree collinari destinate a Parco sono state riviste, mentre le ZAE hanno giustamente ipotizzato che una parte cospicua del territorio collinare possa essere prevista, qualora abbia caratteristiche adeguate, per ospitare attività agricole, che potrebbero contribuire anche ad un miglior assetto del territorio collinare, afflitto da vistosi fenomeni di dissesto idrogeologico, e ad una riqualificazione di aree boscate fortemente degradate (computate a pag. 52 in ca. 10 milioni di mq.). Il patrimonio boschivo della collina di Torino, pubblico o privato, ha un rilevante valore ecologico, e potrebbe essere riqualificato anche per la molteplicità delle sue funzioni; ricordiamo in proposito anche il recente studio di F. Zabini e F. Meneguzzo, promosso dal CNR e dal Comitato Scientifico del CAI, “Terapia Forestale”, che riporta i benefici connessi colla frequentazione dei boschi e dei sentieri boschivi. All’interno del presente Piano, per i parchi collinari di proprietà comunale (e in aree extraurbane di proprietà della città) viene formulata la presentazione di un Piano Forestale Aziendale (PFA), certo necessario, ma resta aperto il tema del recupero delle aree boscate di proprietà privata (o di altri Enti), per il quale occorre individuare forme di incentivazione di concerto con l’Amministrazione (in forma di Consorzi), anziché continuare a ipotizzare improbabili destinazioni a parco, con il meccanismo finora mai attuato degli “atterraggi”.
Come per il Progetto Torino Città d’Acque, anche per il territorio collinare occorre individuare le (poche) aree utili ai collegamenti e agli ampliamenti dei parchi esistenti, preferibilmente lungo il tracciato del c.d. Anello Verde, cancellando per contro la virtuale destinazione “a parco” per aree comunque inedificabili che non avranno mai interesse per la città qualora venissero cedute. Occorre inoltre consolidare col vincolo del pubblico passaggio (pedonale) la Rete Sentieristica (vedi slide a pag. 40), che ammonta a circa 70 km. di sentieri, identificati in cartografia, la cui regolare manutenzione e segnaletica non può essere unicamente affidata anche in futuro al volontariato del Terzo Settore e alla associazioni che hanno operato in questi anni, ma deve passare in carico alla città, mentre la fruizione può essere garantita da associazioni rivolte alla conoscenza del territorio e all’educazione ambientale. Tutto ciò anche considerando il fatto che i parchi collinari, “polmone verde” della Città, sono sottoposti ad un’usura crescente con l’incremento della loro frequentazione, fatto certo positivo, che comporta tuttavia l’assegnazione di adeguate risorse nel presente e nel futuro per interventi di ripristino anche a causa di diffusi fenomeni erosivi.

Il “Verde Ricreativo” (cap. 2):
Il Sistema del Verde, secondo la Relazione, conta in totale 48 milioni di mq., per il 37% di proprietà comunale, e 9,5 milioni di mq. di proprietà comunale. Ciò senza considerare le alberate, ovvero 60.000 alberi “su filare” (ovvero i viali alberati), su un totale di 110.000 alberi complessivi In questo vasto patrimonio, suddiviso nelle diverse classificazioni, rientra il cosiddetto “Verde Ricreativo” (ovvero il verde attrezzato, inclusi parchi e giardini). Riteniamo che nel Piano sarebbe da approfondire l’analisi del “verde ricreativo”, che ammonta a 11 milioni di mq, ovvero il 60% del verde pubblico, come indicato a pag. 15, al fine di verificare quali siano effettivamente le superfici libere da costruzioni di tali aree, che spesso ospitano piastre per il pattinaggio e “skate park”, e numerosi impianti sportivi e ricreativi, certamente utili come servizi ai cittadini, ma che contribuiscono sovente a produrre l’effetto “bolla di calore”, limitando l’interscambio termico. Analogamente andrebbero quantificate, all’interno dei maggiori parchi cittadini, le superfici bitumate o cementate, o occupate da parcheggi e viabilità, nominalmente tutte classificate come “verdi” anche nella cartografia del vigente PRG, per le quali andrebbero previsti interventi di de-impermeabilizzazione nel contesto di più ampi interventi di manutenzione straordinaria dei prossimi anni, con l’inserimento di pavimentazioni filtranti e drenanti. Andrebbe approfondita quindi anche un’indagine sulla “qualità del verde” al fine di migliorarne le caratterizzazioni ambientali. Andrebbe anche censito il “verde su soletta” realizzato sopra parcheggi in struttura, che certo non ha le qualità del verde in piena terra.
La recente emergenza pandemica, con le misure di “chiusura” in città per cittadini giovani e anziani, e la chiusura dei centri sportivi, ha anche fatto emergere forme di utilizzo dei parchi cittadini per attività sportive libere e a “cielo aperto”, in forma autogestita, senza ricorrere sempre a centri sportivi “strutturati” con rilevante occupazione di suolo libero. Anche questa “riscoperta” dei parchi andrà in futuro fortemente valorizzata, senza ricorrere necessariamente ad aree attrezzate per il fitness, spesso soggette a stupidi vandalismi. In quest’ultimo anno si è anche incrementata più in generale la frequentazione dei parchi cittadini, ma anche l’usura, che richiede un rafforzamento di interventi manutentivi.
Sempre per quanto riguarda il “Verde Ricreativo”, del quale viene analizzata opportunamente la distribuzione e ubicazione in rapporto con i vari quartieri della città, ravvisandone in taluni quartieri la carenze rispetto all’obiettivo di poter disporre di 25 mq. di “verde di prossimità” per ogni cittadino, raggiungibile in pochi minuti (con l’obiettivo di una distanza massima di 300 m. dalla propria abitazione), riteniamo che tale fabbisogno di verde andrebbe specificato in rapporto con le Zone Urbane di Trasformazione e le Aree da Trasformare per Servizi non ancora attuate, al fine del raggiungimento di tali obiettivi, per rafforzarne sia le “Funzioni ecologiche/ambientali”, sia le “Funzioni socio-culturali”, come individuate nella Premessa alla Relazione Illustrativa. Attraverso tale correlazione anche l’attuazione dei vari P.E.C. relativi alle aree a servizi di tali aree di trasformazione potrebbe corrispondere ad una strategia mirata. Nella Relazione (pag. 63) si legge che le nuove aree verdi previste all’interno di aree di trasformazione di prossima attuazione ammontano a 276.000 mq., sulla base di progetti approvati o varianti urbanistiche in fase di attuazione, ma sarebbe utile aggiungere anche il dato relativo a tutte le ZUT e ATS ancora non attuate, al fine di valutarne la dislocazione, ed eventuali accorpamenti, sulla base dei fabbisogni zonali. Andrebbe anche approfondita l’analisi delle aree a Servizi di proprietà della Città, o ad essa cedute, classificate come “Sv”, per individuarne le priorità di sistemazione a verde pubblico di prossimità (come nel caso dell’area di Madonna della Salette in Borgata Parella), prima di prevederne l’alienazione o la trasformazione in forma convenzionata ad opera di soggetti a carattere privatistico con concessioni trentennali.
Nell’ambito del cosiddetto “Verde Ricreativo” il Piano dovrebbe anche rivalutare l’importanza di ruscelli, fontane, specchi d’acqua, non soltanto come elementi di “abbellimento” e di biodiversità, ma anche per il ruolo che l’acqua può svolgere all’interno di parchi e giardini per la mitigazione dell’effetto bolla di calore, mentre al momento l’Area Verde è chiamata ad occuparsi soltanto delle fontane “monumentali”. Per carenza di risorse e per le responsabilità in caso di incidenti, molte fontane e specchi d’acqua (dal Valentino a Piazza d’Armi) sono stati di fatto abbandonati, e nel Piano ne andrebbe programmata la riattivazione o il restauro.

“Il Verde ricreativo” : Strategie di Sistema (cap. 2)
Nel paragrafo finale (“Strategie di sistema”, pp. 48 e segg.), riteniamo che andrebbe fatto un bilancio complessivo del completamento dei “corridoi ecologici” e delle previsioni di nuovi parchi che hanno trovato attuazione, di quelle ancora non attuate, e di quelle che si sono rivelate non attuabili, relativamente ai diversi progetti messi in campo dalla Città dopo il 1995. E ciò con particolare riferimento alla realizzazione di quei parchi fluviali e collinari previsti nel 1995, allorché fu approvato in via definitiva il vigente PRG.
Lo stato di avanzamento del Progetto Torino Città d’Acque.
Considerato che tale progetto, approvato alla fine del 1993, ha potuto procedere con non poche difficoltà, sia per la complessa acquisizione delle aree destinate a parco dal vigente PRG (tramite espropri o meccanismi di atterraggio nelle Z.U.T. a ciò predestinate), riteniamo che, all’interno del proposto Piano del Verde, sarebbe fondamentale produrre un bilancio e un’analisi dello stato di avanzamento di tale progetto, che prevedeva il recupero delle sponde di tutti i fiumi cittadini. Alle pp. 96 e segg. viene illustrata una “Progettazione Dimostrativa” relativa alle Basse di Stura, area notoriamente compromessa che necessita interventi di bonifica, e che rappresenta forse il tassello più complesso del Progetto Torino Città d’Acque. Va rilevato che mancano ancora numerosi tasselli per il completamento e l’avanzamento del Progetto. Citiamo tra gli altri: la sponda sinistra della Stura di Lanzo dal ponte Amedeo VIII a Strada dell’Aeroporto, risalendo da Lungo Stura Lazio alla vecchia discarica AMIAT (ora Parco della Marmorina, di proprietà della Città), a Strada Bellacomba; la sponda sinistra del Sangone, dal ponte di corso Unione Sovietica al Castello del Drosso; le sponde della Dora Riparia a monte di via Pietro Cossa fino al Comune di Collegno con la connessione al Parco Agronaturale della Dora ivi previsto; citiamo anche interventi di minore entità, come il completamento del parco del Fioccardo e quello del parco del Meisino, in sponda destra Po, ove persistono numerose attività incompatibili.
Il completamento del Progetto Torino Città d’Acque, da individuare come uno degli “assi portanti” del presente Piano Strategico, pur nella complessità delle sue procedure di avanzamento e di finanziamento, dovrebbe costituire parte essenziale di un Piano che guardi verso il 2030 ed oltre, indicando criticità sopravvenute e priorità attuali.

L’orticoltura urbana (cap. 3)
La Relazione illustra ampiamente l’evoluzione dell’orticoltura urbana, nel passaggio dagli orti spontanei ai primi orti circoscrizionali, fino agli orti associativi e agli orti scolastici. L’orticoltura è ormai largamente riconosciuta nel suo valore sociale ed anche nelle sue funzioni ecologiche (si parla anche di “ortoterapia”), e le tavole rappresentano la larga diffusione di questa pratica, che nei nuovi progetti (come il parco dei Laghetti Falchera) è stata ampiamente inserita. Anche all’interno del tessuto urbano più denso si sta diffondendo in aree private la pratica dell’orticoltura su terrazzi, tetti piani, piccoli spazi condominiali, grazie anche a coltivazioni “idroponiche e acquaponiche”, con l’utilizzo di vasche e infine gli “orti verticali”. La nostra Consulta pone in evidenza anche l’opportunità di far conoscere attraverso corsi formativi l’utilizzo e la diffusione della Permacoltura, che rientra nella buona pratica dell’Economia Circolare, e promuovere l’utilizzo sia negli orti comunali sia negli orti associativi l’utilizzo delle Compostiere, in alternativa allo scarto dei materiali organici prodotti. Per quanto riguarda il ruolo dell’Amministrazione Comunale nello sviluppo dell’orticoltura “sociale”, la Relazione evidenzia anche la “sofferenza economica”, ovvero la carenza di risorse nel poter mettere anche in futuro a disposizione dell’utilizzo pubblico aree attrezzate a ciò destinate, e la necessità di pensare a nuovi modelli attraverso possibili concessioni di aree pubbliche, con l’utilizzo di aree atte all’uso agricolo, data la titolarità di numerose aree pervenute alla Città. In merito, precisando l’opportunità di procedute di evidenza pubblica, e pur condividendo l’ipotesi di utilizzare aree pubbliche all’interno delle Z.A.E., sottolineiamo la necessità di non frammentare aree agricole omogenee nel territorio perturbano, caratterizzate dalla presenza di cascine ed edifici rurali significativi, canali irrigui e filari arborei, verificando semmai la possibilità di metterle a disposizione di cooperative di giovani attraverso bandi per la loro concessione; è auspicabile anche utilizzare per l’orticoltura aree “di margine” (purché non compromesse da discariche abusive e sostanze inquinanti) di proprietà pubblica (compreso il Demanio), o anche aree intercluse poco utilizzabili per destinazione a giardini pubblici, proprio per evitarne l’abbandono e incrementando la tutela del territorio. Tra gli esempi significativi citiamo il “Viale della Frutta” con gli orti realizzati in borgata Parella, per la doppia valenza ambientale e sociale delle realizzazioni.
Importante è anche che nel Piano del Verde venga riconosciuta la realtà dell’Apicoltura, promuovendo corsi formativi per il suo sviluppo, anche per il contributo che tale pratica porta all’impollinazione, significativo nelle aree collinari e nelle zone agricole, sia di proprietà della Città che di altri soggetti.
Non è certo compito del Piano Strategico individuare nel dettaglio le aree di possibile utilizzo per l’orticoltura urbana, ma andrebbe meglio definita la tipologia (anche con la “caratterizzazione” ambientale dei suoli) e individuarne le necessità territoriali.
Peraltro assai opportunamente è giunta anche di recente (con Delibera del 9 febbraio 2021), l’approvazione da parte della Giunta Comunale del Piano Operativo degli Orti Urbani, che dà il via ad una serie di analisi chimiche rivolte ad individuare la possibile presenza di sostanze inquinanti negli orti urbani circoscrizionali, ed in seguito anche agli orti associativi, nell’intento di garantire la salute dei fruitori e la qualità dei prodotti .

Il Verde Ecosistemico e gli interventi di Forestazione Urbana (cap. 4, pp. 81-82)
Apprezzando i piani di forestazione urbana attualmente in corso e gli interventi previsti, sia in forma “compensativa” da parte di soggetti privati, sia facenti capo ad altri Enti Territoriali come la Città Metropolitana, facciamo anche presente che tali interventi non andrebbero unicamente indirizzati verso la forestazione di aree a parco già esistenti. Si possono proporre anche altre aree, in larga parte compromesse dal punto di vista ambientale, in cui tali interventi possono contribuire comunque all’assorbimento della CO2, ed anche alla “rigenerazione” di suoli compromessi, magari attraverso coltivazioni ad uso non alimentare, con impianti arborei rivolti a coltivazioni di piante da legno. L’esempio più significativo può essere quello della Basse di Stura in sponda destra (trattato nel Piano in una “Progettazione Dimostrativa”), ma anche in aree industriali dismesse non proponibili per destinazioni a verde pubblico, gerbidi, fasce di pertinenza stradale, aree di risulta che possono acquisire gradualmente valore ambientale, ed anche aree demaniali. Ai fini del raggiungimento degli obiettivi di assorbimento di CO2 si prospetta la necessità di impianto di 50.000 nuovi alberi, e andrebbero individuati criteri di localizzazione anche in una dimensione metropolitana per la costituzione di una “green belt” nelle aree periurbane.
Inoltre nella “Forestazione Urbana” potrebbe essere inserita la realizzazione di nuovi viali alberati, accompagnati da siepi e cortine arbustive, in alcuni grandi arterie periferiche oggi quasi totalmente disadorne o con alberature compromesse, bisognose di ricostituzione. Citiamo solo alcuni esempi: via Reiss Romoli, via Botticelli, Lungo Stura Lazio, via De Sanctis, via Guido Reni, via Settembrini, via Vigliani, e la prosecuzione dell’intervento già avviato su via Zino Zini. Certo impiantare un’alberata su viali periferici è più costoso, e magari vi è un elevato tasso di morìa nei nuovi impianti, ma ciò potrebbe dare l’avvio alla riqualificazione di territori sovente degradati che da molti anni non sono più stati oggetto di interventi significativi, privilegiando lungo questi assi meri interventi viabilistici. Sulla loro possibile “forestazione” (termine in questo caso improprio) sarebbe necessario investire nel lungo periodo, magari utilizzando oneri di urbanizzazione generati da aree limitrofe. Un Piano del Verde dovrebbe quindi prevedere anche la realizzazione di queste “connessioni verdi”, individuandole come proposte progettuali, in territori periferici troppo spesso trascurati, ai fini della mitigazione del clima urbano e degli effetti del traffico veicolare, inserendovi anche percorsi ciclopedonali.

Il Verde Ecosistemico – “Compensazioni Ambientali” (cap. 4)
Un tema critico, non ancora risolto a livello nazionale e regionale con un organico disegno di legge, già toccato anche nel processo di Revisione del PRG, è quello del consumo di suolo, con l’enunciato di pervenire al “consumo di suolo Zero”, affrontato nel capitolo 4 paragrafo 6, “compensazione del suolo”, ove si afferma che “le compensazioni ambientali siano da realizzarsi prioritariamente attraverso interventi di de-impermeabilizzazione, ricostituzione del suolo (anche tramite riuso) e di rinaturalizzazione di superfici già consumate, di proprietà della Città e destinate a servizi”. Obiettivo enunciato dall’Amministrazione Comunale nelle sue linee programmatiche, è quello dell’arrivare al “Consumo di suolo Zero”, che andrebbe comunque articolato in modo più dettagliato. Tra i “suoli liberi” abbiamo aree agricole di pregio, zone di risulta di trasformazioni urbanistiche, pertinenze di complessi industriali dismessi, piccole aree intercluse all’interno dell’edificato, tratti di sponde fluviali, “orti spontanei” in aree private, orti regolamentati in aree pubbliche. La casistica è complessa, e ogni ipotesi di compensazione dovrebbe essere accompagnata da un’analisi della qualità dei suoli; sappiamo che occorrono decenni per ricostituire la qualità di terreni già compromessi, e ancor più quando necessitano interventi di bonifica ambientale o messa in sicurezza attraverso “capping” o fitorigenerazione. Opportunamente si indica che eventuali compensazioni dovranno essere “univoche”, ovvero articolarsi in un unico intervento, per evitare la frammentazione, ed essere “omologhe” (nella qualità dei suoli). Andrebbe comunque ribadito che gli interventi che comportano consumo di suolo libero non possano essere autorizzati nelle ZAE, nelle aree previste a parco urbano, fluviale e collinare, e nelle Aree a Servizi previste prioritariamente per la realizzazione della dotazione zonale di verde (verde di prossimità), anche qualora se ne ipotizzasse la trasformazione in complessi sportivi. Non riteniamo opportuno, e coerente con gli obiettivi enunciati, che si preveda la possibilità di “monetizzare” le compensazioni ambientali, i cui importi dovrebbero essere poi vincolati (in appositi capitoli di bilancio) col generico fine di incrementare l’infrastruttura verde e rivolgersi a interventi di riqualificazione ambientale, lasciando tuttavia eccessiva discrezionalità nelle loro ubicazioni, mentre dovrebbero essere indirizzati con precisione ad eventuali compensazioni ambientali “omologhe” in aree di immediata prossimità delle aree di intervento, da definirsi nel momento stesso in cui si ammettesse la possibilità di monetizzazione.

Il Verde Ecosistemico – Progettazione dimostrativa (cap. 4)
In riferimento al par.7 – progettazione dimostrativa, per quanto riguarda il recupero di aree di particolare degrado ambientale e inquinate da sostanze residue di lavorazioni industriali di decine di anni, suggeriamo un approccio multidisciplinare, facendo intervenire differenti dipartimenti universitari di UNITO dove da molto tempo seguiamo studi e sperimentazioni innovativi molto promettenti. L’approccio multidisciplinare a cui ci riferiamo riguarda il coinvolgimento di organismi viventi appartenenti a “regni” differenti: utilizzo di batteri, piante e contemporaneamente di funghi che vengono riprodotti appositamente in laboratorio allo scopo di captare sostanze velenose dal suolo per essere successivamente smaltite in modo corretto, oppure in altri casi per trasformare direttamente sostanze velenose in sostanze “inerti” dal punto di vista ambientale. Numerosi studi e sperimentazioni anche riguardanti aree molto estese in vari siti in Italia indicano una possibile direzione nuova che molte nazioni stanno seguendo intuendo la grande potenzialità e rappresentano un’occasione importante di vero recupero ambientale che varrebbe la pena seguire, stimolare e supportare. Sarebbe quindi utile avviare un’analisi di alcune delle zone indicate in questo capitolo (es. Basse di Stura) per evidenziare se gli studi menzionati sono applicabili alla specifica tipologia di degrado ambientale e intraprendere una seguente iniziativa di recupero veramente all’avanguardia.

Le aree coltivate e le Zone Agricole Ecologiche (cap. 5, Il verde coltivato)
Il Piano censisce ca. 2 milioni di mq. di proprietà della città attualmente coltivate, mentre ca. 4 milioni di mq. sono di proprietà di altri soggetti. Non è facilmente individuabile la distinzione tra le aree effettivamente coltivate e quelle più genericamente proponibili per gli usi agricoli. La destinazione a ZAE viene opportunamente, per buona parte di queste aree (in particolare nella Zona Nord), a rivedere la generica destinazione a parco prevista dal PRG del 1995, riconoscendole finalmente come aree agricole effettivamente coltivate o adatte alla coltivazione, fermo restando anche che molte di queste aree richiederebbero la conversione a pratiche colturali di miglior qualità. Alcune di esse sono in parte (se di titolarità della città) proponibili per l’orticoltura urbana, in forma associativa e convenzionata, anche per impedirne il degrado e l’abbandono. Il Piano prevede il recupero o il riutilizzo di alcuni edifici rurali collocati all’interno dei parchi cittadini, sulla base di un progetto ormai datato che si denominava “Cascine nei Parchi”. Occorre a nostro parere procedere anche un censimento e a una identificazione degli edifici rurali inseriti nel territorio agricolo periurbano, censimento già in possesso della Amministrazione Comunale (“Ricognizione documentale e fotografica delle cascine site nel territorio di Torino. Parte Piana”), effettuato nel 2000 per conto della Divisione Edilizia e Urbanistica ad opera dell’arch. Silvio Ainardi. Pur considerando che molti di questi edifici rurali sono ormai inglobati nel territorio urbanizzato, e che alcuni di essi sono già stati oggetto di trasformazioni urbane (come la Cascina Fossata, la Continassa, la Filanda del Meisino), resta comunque la necessità di identificare, sia nel Piano del Verde sia nella Revisione del PRG, gli edifici di maggior pregio inseriti all’interno di vaste aree rurali (citiamo ad es. la Cascina Lamarmora, la Pellerina, la Saffarona, il Mineur, la Bellacomba, la Nobella, la Ca’ Bianca), con le loro pertinenze di filari alberati, e canali irrigui. Gli edifici di maggior pregio collocati in questi territori rurali, ora compresi nelle ZAE, andrebbero non solo opportunamente tutelati all’interno del PRG qualora non censiti e “baffati”, ma anche valorizzati all’interno di un Piano del Verde per consolidarne la presenza e rilanciarne la funzione ai fini delle attività agricole ad esse collegate , come “presidi del territorio” (si veda ad es. il ruolo svolto dalle cascine all’interno del Parco Sud di Milano o degli edifici rurali nel parco dell’Appia Antica a Roma), magari per l’inserimento di attività florovivaistiche di qualità (non meri “punti di vendita” come tanti “Garden Centers”).
Sarebbe anche opportuno che nel Piano del Verde venisse prevista la possibilità (di concerto con la Divisione Urbanistica) di creare nuove porzioni di ZAE, o eventuali accorpamenti con quelle già esistenti, per poter recepire eventuali richieste provenienti da parte di gruppi di proprietari di immobili esistenti situati nel contesto di aree già coltivate o coltivabili; ovvero porzioni significative attualmente inserite in Aree a Servizi o in Zone di Trasformazione, i cui proprietari proponessero di rinunciare alle loro capacità edificatorie per “retrocederle” all’uso agricolo

Il Verde come “Bene Turistico” (cap. 6)
Indiscutibilmente il verde e i parchi sono anche un “bene turistico”, che contribuisce a rafforzare l’immagine della città e a farne conoscere tutte le potenzialità. Purtroppo oggi manca un piano di comunicazione e di pubblicazione di adeguati materiali informativi, che non può essere delegato a “Turismo Torino”. Il normale visitatore della nostra città di solito non va oltre piazza Vittorio e il Parco del Valentino, non raggiunge i parchi fluviali, ignora l’esistenza dei parchi storici collinari del Parco di Superga e del parco della Maddalena (salvo il Faro della Vittoria), non conosce l’esistenza di edifici storici e parchi come quelli di Villa della Regina o la “Vigna di Madama Reale” (Villa Abegg) che andrebbero inseriti quanto meno nei circuiti di visita delle Residenze Sabaude e di “Corona Verde”, così come il Castello di Moncalieri.
Anche l’inserimento del territorio fluviale e collinare di Torino nella Riserva della Biosfera Collina Po col riconoscimento MAB-UNESCO è attualmente di fatto quasi ignorato o comunque non valorizzato, malgrado tale riconoscimento non comporti solo l’apposizione di un “marchio”, ma richieda anche da parte delle Amministrazioni interessate lo sviluppo di azioni mirate per la conservazione e il miglioramento di tale patrimonio naturale, di concerto tra le Amministrazioni Comunali e l’Ente Parco (per i SIC e le ZPS). Anche un progetto come VenTo, la lunga ciclovia che dovrebbe seguire il percorso dell’asta fluviale da Venezia a Torino, non ha avuto nella nostra città un riconoscimento adeguato, con segnaletica e punti d’appoggio, per superarne le “strozzature” e i nodi urbani soprattutto in prossimità dei ponti sul Po, e per promuoverne la fruizione. Un Piano Strategico del Verde dovrebbe prevedere nei prossimi anni anche azioni orientate in tale senso.

Le gestione del Verde Pubblico (cap. 8)
Esprimiamo le nostre perplessità in merito alle scelte politiche ipotizzate per la gestione del verde. Sembra inarrestabile la scelta che si è venuta consolidando in questi decenni (i dati partono dal 1970) in merito alla esternalizzazione della manutenzione ordinaria e straordinaria del verde, con la progressiva riduzione del Comparto Giardinieri da 400 a 46 (settembre 2020), e alla eventuale scelta del Global Service (pp. 137-9), per il quale vengono indicati i modelli di Milano e di Bologna. In tale eventualità vanno definite le risorse da assegnare a tale proposta, comparando impegni di spesa, dimensioni degli spazi verdi e dei parchi delle varie città prese in esame, i risultati finora ottenuti, e soprattutto calcolare quali risorse dovrebbe impegnare la nostra città per raggiungere obiettivi di qualità. In ogni caso andrebbe a nostro parere, anche in tale eventualità, garantito un robusto organico di giardinieri impegnati negli interventi sulla zona aulica, sui parchi e sui giardini storici. Se l’obiettivo indicato è quello della “esternalizzazione” e dell’efficientamento con la riduzione dei costi del personale, non si può tuttavia trascurare il ruolo fondamentale dell’Area Verde anche nel rapporto con i cittadini e nelle problematiche di quartiere, sia nella manutenzione ordinaria sia nella progettazione del verde, al fine di favorire la partecipazione.
In questi anni vi è stata anche la progressiva smobilitazione di magazzini e punti d’appoggio del Servizio nei parchi e nelle aree verdi, che erano utili funzionalmente per alcuni interventi puntuali e per il presidio del territorio; andrebbe verificato se tale scelta è irreversibile, e se non andrebbe parzialmente ripensata (pensiamo ad es. al parco del Valentino).
Se il ruolo della partecipazione e del coinvolgimento dei cittadini è riconosciuto come fondamentale anche dal vigente Regolamento del Verde, non è credibile né opportuno che venga totalmente “esternalizzato”, sia nella progettazione di nuove aree verdi sia negli interventi di cura e manutenzione del verde e delle alberate esistenti. Più in generale, in un Piano del Verde di carattere “strategico” come quello delineato, riteniamo assai criticabile che si ipotizzi, tra le “Prospettive Future” (pag. 139), il “trasferimento di parte delle attività di programmazione ed organizzazione della manutenzione ordinaria del verde dagli uffici della Città alle imprese appaltatrici”, delegando di fatto a queste ultime anche il delicato rapporto con i cittadini.
Ci domandiamo anche per quale motivo in tale capitolo, dopo aver ricostruito la storia delle “Giardinerie Torinesi” (pp. 135 e segg.), non si faccia alcuna menzione dell’esistenza dell’Istituto Bonafous e delle Serre di Chieri, realtà in cui si sintetizza la storia del “corpo” dei giardinieri e soprattutto l’attività formativa, con una “scuola torinese di giardinaggio” che veniva citata come modello fino a pochi anni or sono. Analogamente andrebbe precisato un impegno a mantenere in vita i Vivai del Regio Parco, di cui non si fa menzione, e del ruolo che possono svolgere anche in futuro. Inoltre, pur consci delle difficoltà di mantenere in funzione le Serre di Chieri come “attività produttiva” interna alla Città di Torino, riteniamo che in un Piano del Verde andrebbe esplicitata chiaramente o la scelta di rinunciare completamente a questo patrimonio pubblico con la collegata attività formativa, oppure in alternativa quella di mantenerlo vitale attraverso convenzionamenti con altri Enti territoriali ed altri soggetti pubblici o privati, riconoscendola come di primaria importanza.
Riteniamo soprattutto che l’Area Verde, pur in una prospettiva di “esternalizzazione” del servizio come quella delineata, debba mantenere una vigorosa “testa pensante e progettante” all’interno dell’Amministrazione, ovvero un robusto Ufficio Tecnico in grado di progettare e di programmare sia gli interventi di manutenzione straordinaria sia la realizzazione di nuovi parchi e nuove aree verdi, e seguire gli interventi nelle nuove urbanizzazioni quando questi comportano tra le opere a scomputo anche la realizzazione di aree verdi che poi perverranno all’uso pubblico, e di nuove alberature (campo in cui è importante il ruolo della Commissione Aree Verdi prevista dal Regolamento del 2006).
Auspichiamo inoltre che l’Area Verde continui a restare nell’ambito della Divisione Ambiente, per le sinergie che sussistono con le altre aree che vi fanno capo. E che, come prescritto dalla Legge 10, una percentuale consistente dei proventi dei permessi di costruire e degli oneri di urbanizzazione venga destinato alla manutenzione ordinaria del Verde Pubblico.

Le gestione del Verde Pubblico – La gestione delle Alberate (cap. 8).
L’argomento costituisce un capitolo importante e critico nel quadro complessivo della Gestione del Verde. E’ stato detto più volte che molte alberate sono “in sofferenza”, in alcuni casi perché arrivate a “fine ciclo vitale”, affette da diverse patologie, e sovente vittimizzate da tanti lavori per la collocazione di sottoservizi e interventi viabilistici. La collaborazione col Dipartimento di Patologia Vegetale e i nuovi modelli di censimento e gestione informatizzata del patrimonio arboreo dopo il 2015, sono stati passi in avanti significativi. Al tempo stesso i mutamenti climatici che imporrebbero la scelta di nuove specie, gli abbattimenti per ragioni di sicurezza, la riduzione della chioma e potature quando interferiscono con le abitazioni e con le diverse reti aeree, sono non solo interventi onerosi ma creano anche malumori e conflitti con la cittadinanza, spesso non adeguatamente informata, e richiederebbero un piano speciale di comunicazione e informazione, nel contesto del citato Piano di Gestione del Rischio. Il Piano del Verde giustamente insiste sulla necessità di “sensibilizzare la cittadinanza”, e a maggior ragione riteniamo che nella gestione delle alberate non sia praticabile la “esternalizzazione”, che ne demanderebbe la competenza a “soggetti terzi” (imprese appaltatrici) per le eventuali scelte di abbattimenti, disperdendo anche competenze professionali accumulate che devono invece restare “interne” all’Amministrazione.
Nello specifico non riteniamo proponibile l’abbattimento contemporaneo (come ipotizzato a pag. 146) di intere alberate o di importanti segmenti che le concernono, se non per situazioni davvero straordinarie. Di fronte al valore ambientale e paesaggistico (in particolare per le alberate storiche sottoposte a vincolo ministeriale) non può essere fatta valere un’argomentazione di carattere economico a favore di un abbattimento-sostituzione collettivo. Soltanto laddove esemplari presentino rischi di schianto sulla base della VTA, con perizie convalidate da carotaggi, si potrà procedere all’abbattimento, prevedendone la sostituzione. Ai fini delle sostituzioni dovrebbe essere potenziata anche la preparazione nei vivai di piante destinate ad assumere proporzioni significative, privilegiandone poi il reimpianto con grande zolla, per non mortificare l’apparato radicale. Non si può dare per scontata la contemporaneità di una situazione di urgenza e rischiosità eccezionale di interi viali alberati o loro porzioni significative, privilegiando interventi proposti per praticità economica e organizzativa, laddove non sussistano situazioni dimostrabili di grave rischio, e provocando reazioni ostili dei cittadini.
Inoltre la sofferenza di molti esemplari arborei in aree mercatali (sia nelle piazze che nei viali lineari) imporrebbe anche a nostro parere la necessità di programmare interventi di de-impermeabilizzazione dei suoli alla base degli alberi, che in un Piano del Verde dovrebbero trovare spazio adeguato secondo criteri di priorità (si veda il caso arcinoto di Piazza Benefica), e risorse adeguate da programmare nel tempo. Analogo ragionamento andrebbe fatto per le banchine alberate utilizzate come parcheggio a raso nei grandi viali storici e nei maggiori corsi di Torino, dove occorrerebbe negli indirizzi del Piano del Verde prevedere la necessità di sostituire superfici bitumate che “soffocano” la base degli alberi nelle loro aree di pertinenza con pavimentazioni permeabili, e (ove possibile) un ripristino di suoli naturali.
Più in generale occorre prestare la massima attenzione al rapporto con i cittadini nelle proposte di rinnovo delle alberate qualora si imponessero nei prossimi anni per ragioni improrogabili di necessità e sicurezza, sempre nel rispetto dei viali storici tutelati con specifici Decreti Ministeriali, e provvedendo comunque ai reimpianti in corrispondenza delle numerose fallanze o abbattimenti verificatisi in questi anni.
Il Piano del Verde, che identifica ed elenca gli Alberi Monumentali, così come i viali storici e gli ambiti sottoposti a tutela storica e paesaggistica, dovrebbe inoltre dedicare un capitolo anche agli “Alberi di Pregio” (in aree pubbliche e private) , come previsto dal Regolamento del Verde Pubblico e Privato, da censire con uno strumento di cui la Città non si è ancora corredata, che consentirebbe anche ai cittadini di fare opportune segnalazioni da sottoporre poi al vaglio del Servizio del Verde, da inserire in un registro a ciò destinato.

Le gestione del Verde Pubblico – Il Regolamento del Verde Pubblico e Privato (cap 8)
Senza entrare nei dettagli, alleghiamo a queste osservazioni le proposte presentate dalla nostra Consulta relative alla integrazione e precisazione di alcuni articoli del Regolamento del Verde Pubblico e Privato, da poco presentate in Commissione Consiliare, che toccano soprattutto i temi del riconoscimento del valore non meramente “ornamentale” degli alberi in caso di abbattimento in aree di cantiere, delle “compensazioni ambientali”, del riconoscimento degli “alberi di pregio” (non solo di quelli “monumentali”), da censire espressamente, del ruolo della Commissione Aree Verdi, della pubblicità dei procedimenti, del coinvolgimento e della partecipazione dei cittadini, della tipologia delle manifestazioni ammissibili nei parchi cittadini, ed altri aspetti. Apprezziamo che gli interventi sulle alberate siano stati inseriti nel sito “Agenda Alberi”, aggiornato regolarmente, ma pensiamo anche che per gli interventi più cospicui andrebbero previsti altri canali e strumenti di informazione. Siamo in attesa delle “controdeduzioni” dell’Assessorato e del Servizio Verde alle nostre proposte.

Concludendo il nostro ragionamento, pensiamo che il Piano andrebbe accompagnato da alcune scelte programmatiche per i prossimi 10-15 anni, indicando una scala di priorità per darvi attuazione, anche al fine di agganciare eventuali linee di finanziamento nazionali ed europee.

Ringraziando per l’attenzione, inviamo i nostri migliori saluti

Per la Consulta Ambiente e Verde della Città di Torino,
Emilio Soave, presidente

Torino, 25 febbraio 2021

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Consulta ambiente verde – Osservazioni_PianoStrategicoVerde_24022021